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venerdì 20 novembre 2020

Il quartiere dei murales. Così don Ippolito risponde alle mafie

 Il quartiere dei murales. Così don Ippolito risponde alle mafie


Foto: Corriere.it

Domenica, 15 Novembre 2020

Nel quartiere 167 B a ridosso dello Stadio del Mare di Lecce negli Anni 70 hanno ammassato, dentro le case popolari, le famiglie più povere. E ancora adesso vi abitano persone che vivono una condizione di miseria. Qui la droga, lo spaccio, la microdelinquenza, gli arresti domiciliari, l’assenza di lavoro sono realtà pesanti. Gli uomini nei garage raccolgono gli oggetti scartati nel centro del capoluogo salentino, o ripararono resti di biciclette ridotte a ferraglia. Le donne si arrabattano facendo le badanti. 

La lotta al male

Il fenomeno malavitoso della sacra corona unita è stato messo al tappeto col processo svoltosi per sette anni consecutivi alla scuola media Stomeo Zimbalo trasformata in aula bunker: i magistrati volevano dare un messaggio forte e chiaro alla mafia pugliese, e cioè che il male sarebbe stato eradicato direttamente dal suo cuore. Bisogna partire dalla descrizione di questo contesto metropolitano per comprendere la portata di quello che don Gerardo Ippolito, 69 anni, sta facendo da otto anni. Oltre a metterci una sartoria e i corsi per insegnare a ballare ha trasformato il quartiere in un museo a cielo aperto. «Vengo - racconta - da una famiglia contadina, sono l’ultimo di sei fratelli e ho capito presto che non si deve avere paura delle difficoltà, la gente buona c’è sempre. In Chiesa viene il 5 per cento della popolazione perciò toccava a me andare fuori. Già lo facevo andando a fare amicizia coi drogati». 

L’arte che unisce

Don Ippolito sa che la sua chiesa di San Giovanni Battista possiede un muro lungo 366 metri e alto 2,5 che cinge i campi di calcio e tennis. Invece di permettere che i ragazzi ci scribacchino sopra, insieme con l’Associazione 167 Art Project decide di lasciare che siano artisti a realizzarvi sopra le proprie opere: venti metri a testa, il tema è il muro che unisce. «La sorpresa - prosegue - fu che i ragazzi del posto, decisamente vivaci, non li hanno mai deturpati: anzi le scolaresche venivano a visitarli. Allora ci siamo chiesti: perché non farlo coi palazzi grigi, cadenti, così brutti da far incupire il cuore»? Detto, fatto. Scelti nuovi messaggi, dall’integrazione razziale all’ecologia, sono spuntate sulle facciate laterali degli edifici popolari opere di grande qualità artistica e dirompente forza evocativa affidati per esempio a Karski & Beyond o Checos’Art e ancora a Cecilia De Donnantonio, questi ultimi due leccesi. Il sacerdote riflette: «Ho pensato che in questo modo la gente non si sarebbe più vergognata di abitare qui, tanto che adesso dice davvero che viene dal quartiere dei murales. Del resto queste opere possono portare a Dio tramite la bellezza. Sono stati scelti come modelli anche bambini del posto finiti poi rappresentati sulle pareti oppure certi ragazzini si sono interessati alla street art diventandone poi bravi esecutori. A contatto con l’arte le persone si sentono bene. Del resto si tratta di soggetti che mai andrebbero a visitare un museo».

La storia di Palladino

Ecco dunque profilarsi all’orizzonte del quartiere 167 B di Lecce un’altra avventura artistica ingegnata da don Gerardo: trasformare la spianata di erbacce accanto alla cattedrale bianca di San Giovanni - impreziosita all’interno dalla statua bronzea del Battista realizzata da Mimmo Palladino, autore anche della fonte battesimale e della porta di accesso - in un museo open air di arte contemporanea. «Sarebbe - conferma - una grande vittoria per i miei parrocchiani: accanto al pool di nove medici specialisti che nell’oratorio visitano gratuitamente i malati nel corpo, fuori avremmo l’arte praticare un altro tipo di cura. Aspettiamo già le prime opere e i nuovi murales che verranno: questa volta a raccontare le donne».

Luca Bergamin da Corriere.it


https://www.unimondo.org/Notizie/Il-quartiere-dei-murales.-Cosi-don-Ippolito-risponde-alle-mafie-202008

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