Kamchatka, il paradiso perduto - Monastero del Bene Comune

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venerdì 13 novembre 2020

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Kamchatka, il paradiso perduto

Kamchatka, il paradiso perduto            

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                                                                                            Fot: Greenpeace.org

Mercoledì, 11 Novembre 2020

Kamchatka. Terra di rara bellezza, evocatrice di scenari a perdifiato, paesaggi selvaggi, natura incontam… ops, no, questo non più. Che la Kamchatka sia una delle poche zone del Pianeta rimaste incontaminate è un’affermazione che ormai può appartenere solo a una malinconica nostalgia. Un’onda infranta sugli scogli della realtà lo scorso maggio, quando a riva la marea ha portato numerose carcasse di animali marini come ricci o polpi. Ma non è un problema emerso solo dalle profondità della vita subacquea: anche una buona parte dei surfisti che frequentano la zona per le spettacolari possibilità di cavalcare il mare con una vista ineguagliabile sull’entroterra ha accusato problemi di salute. E non un semplice mal di pancia. Tosse secca, ustioni oculari, nausea, febbre alta.

Il governatore della regione ha commissionato al Centro idrometeorologico e al Ministero dell’Ambiente un campionamento dell’acqua, in cui è stata rilevata una concentrazione di derivati del petrolio quattro volte superiore alla mediapetrolio che però non sembra essere il solo responsabile di quella che Greenpeace Russia definisce a ragione una “catastrofe ecologica”: si tratta di una soltanto tra le ipotesi considerate, che potrebbe dare triste conferma ai risultati già ottenuti e che fa risalire il vertiginoso aumento di inquinanti nell’acqua a uno sversamento da una petroliera di passaggio. 

Uno scenario che però non convince l’ecologo Dmitry Lisitsin, che evidenzia come l’inquinamento da petrolio si manifesti generalmente in modo diverso: esso crea infatti una pellicola sulla superficie dell’acqua (emergendo perché più leggero), emana un forte e caratteristico odore e provoca più facilmente la morte di uccelli (e non di pesci od organismi del fondale). Inoltre, i derivati del petrolio non possono aver portato agli avvelenamenti di massa che si sono verificati a danno di molti degli esseri viventi che abitano o visitano queste coste. Litsin sostiene invece l’ipotesi che il gravissimo danno ambientale e alla salute sia stato provocato da un veleno molto più forte, che potrebbe risalire a qualcuna delle componenti, altamente tossiche, del carburante per i razzi del vicino poligono militare di Radygino, dove le armi sono stoccate in disuso dal 1998.

Difficile per Litsin avvalorare anche l’ipotesi che l’improvviso peggioramento della qualità ambientale sia dovuto a una perdita di pesticidi, imputabile a cause naturali, dal loro sito di interramento subacqueo di Kozelskij o che ancora la causa debba essere fatta risalire alla presenza di specifiche alghe tossiche. 

Tutte le versioni, discordanti, restano al vaglio delle Autorità, ma a noi resta la memoria ancora fresca del disastro di Norilsk, quando tonnellate di gasolio sono fuoriuscite nel fiume Ambarnaya, facendolo virare al rosso e decretando una catastrofe ambientale che, come spesso accade, ha riversato tutto il suo carico di disastrose conseguenze sulle comunità indigene, prima ancora che sul turismo. Un allarme suonato per l’Artico che è presto rieccheggiato nel Pacifico, in particolare sul golfo di Avacha e la spiaggia di Khalaktyrskij, quella maggiormente frequentata appunto dai surfisti. Sabbia vulcanica, nera, 30 chilometri poco lontano dal capoluogo di regione, Petropavlovsk-Kamcharskij. Si potrebbe dire che è poca cosa, area limitata, bassa frequentazione. Suvvia, c’è di peggio. 

Invece no, il peggio è già qui, in un’area naturalistica a poca distanza da un sito patrimonio Unesco, il parco Nalychevo, istituito nel 1995 ed esteso su una superficie di quasi 290 mila ettari della vale dell’omonimo fiume, che racchiude al suo interno territori dalla composizione complessa e geologicamente unica, tutelata soprattutto per i suoi vulcani (di cui 4 ancora attivi) sia dal punto di vista magmatico che termale. 

Si tratta dell’ennesima occasione persa: riparare danni ambientali di questa portata, indipendentemente dalla causa, ha costi ingenti e tempi lunghi, che sarebbero stati risparmiati dal potenziamento preventivo di politiche ambientali più forti, con programmi a lungo termine e una trasformazione dell’economia a favore di strade meno impattanti. Non ne siamo stati capaci fino ad ora, riusciremo ad esserlo in futuro, per preservare ciò che ancora rimane?


https://www.unimondo.org/Notizie/Kamchatka-il-paradiso-perduto-202086

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