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giovedì 19 febbraio 2015

> Quartiere a luci rosse. La Giovanni XXIII: "No alla schiavitù legalizzata"

Dura condanna nei confronti del Comune di Roma dalla Comunità fondata da don Oreste Benzi. Ramonda:"L'unico modo per aiutare davvero queste donne è quello di debellare il fenomeno inaccettabile della prostituzione e multare i clienti"

07 febbraio 2015
ROMA - Altro che zone di tolleranza, per colpire il fenomeno della prostituzione occorre contrastare la domanda. E' quanto ribadisce la Comunità Papa Giovanni XXIII che in una nota condanna "con fermezza la scelta dell'amministrazione comunale di Roma di istituire zone di tolleranza per la schiavitù della donna", spiega la nota. Secondo la comunità oggi è urgente affrontare il fenomeno della prostituzione, ma non seguendo la strada intrapresa da Roma. Per la comunità occorre istituire un sistema di multe progressive per i clienti. Per Giovanni Ramonda, responsabile generale della comunità, "l'unico modo per aiutare davvero queste donne è quello di debellare il fenomeno inaccettabile della prostituzione - spiega -. I clienti sono di fatto primi sfruttatori della donna, e in secondo luogo finanziatori del racket. Debellare la prostituzione è possibile, da mesi abbiamo presentato al governo una proposta di legge per adottare in Italia il "modello nordico" che sanziona i clienti. Il mondo cattolico deve fare fronte comune prima che la situazione degeneri". 
Per la comunità, sono sette le ragioni per cui regolamentare la prostituzione è sbagliato. Primo perché "aumenta la domanda di vittime di tratta - spiega la comunità in un documento pubblicato su internet -. Infatti il 75-80 per cento delle donne presenti nei bordelli olandesi e tedeschi, paesi in cui la prostituzione è legalizzata, è stata trafficata contro la loro volontà". Una regolamentazione, inoltre, renderebbe "molto più difficile identificare le vittime di tratta". Regolamentazione che non permette neanche "la repressione della tratta punendo gli sfruttatori, in quanto è un ottimo scudo dietro cui i trafficanti si possono mascherare". Neanche le entrate statali ne gioverebbero, spiega il documento. "In Germania la maggior parte dei bordelli, gestiti dalla criminalità organizzata, si è rifiutata di pagare le tasse - spiega la comunità -. Inoltre le persone che si prostituiscono non vogliono essere associate alla prostituzione, per cui non dichiarano le tasse".
La regolamentazione, inoltre, non riduce gli abusi nei confronti delle donne. "Il 60 per cento delle prostitute che operano nei Paesi Bassi hanno subito violenza fisica - spiega il testo -, mentre il 40 per cento delle stesse ha dichiarato di aver subito violenza sessuale . Negli Stati Uniti, l'86 per cento delle prostitute ha dichiarato di aver subito violenza fisica dai clienti. Il 59 per cento delle prostitute tedesche ha dichiarato che la regolamentazione non le fa sentire più sicure dalla violenza fisica o sessuale". Secondo la Comunità, non aumenta neanche la sicurezza sanitaria delle donne che si prostituiscono. "In Australia - si legge nel documento -, un cliente su cinque dichiara di voler avere rapporti sessuali non protetti. In Canada, il tasso di mortalità delle prostitute è 40 volte superiore alla media nazionale. La prostituzione comporta effetti dannosi per la salute delle persone che la praticano, le quali sono più soggette a traumi sessuali, fisici e psichici, alla dipendenza da stupefacenti e alcool, alla perdita di autostima, così come a un tasso di mortalità superiore rispetto al resto della popolazione". Infine aumentano i costi sociali per via "dell'aumento della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili nella popolazione - spiega il testo -. Molte donne, inconsapevoli mogli dei clienti, contraggono il papilloma virus (non solo l'Hiv)".
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