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giovedì 14 gennaio 2016

C'è chi dice no! TAIR KAMINER, 19 ANNI, RIFIUTA IL SERVIZIO MILITARE IN ISRAELE


DICHIARAZIONE

Mi chiamo Tair Kaminer, ho 19 anni. Qualche mese fa ho concluso un anno di volontariato con gli scout israeliani a Sderot. Tra pochi giorni andrò in prigione.

In Sderot ho fatto volontariato per un anno intero lavorando con bambini che vivono in una zona di guerra e lì ho deciso di rifiutare di servire nell'esercito di Israele. Il mio rifiuto deriva dalla volontà di dare il mio contributo alla società, per renderla migliore, ed è parte di una lotta in corso per la pace e l'uguaglianza.

I bambini con cui lavoravo sono cresciuti nel cuore del conflitto ed hanno attraversato esperienze difficili da giovanissimi, esperienze che in molti di loro hanno prodotto un grande odio. Come loro, molti bambini che vivono nella striscia di Gaza e nel resto dei territori occupati, in una realtà anche più difficile, imparano a odiare l'altra parte. E neanche loro possono essere rimproverati. Quando guardo a tutti questi bambini insieme, alla prossima generazione di entrambe le parti e a come vivono, vedo solo la prosecuzione di questo trauma e di questa sofferenza. E ho detto Basta!

Da anni ormai non c'è un orizzonte per il processo politico di pace, non c'è nessun tentativo di portare la pace nella striscia di Gaza o a Sderot. Ma per tutto il tempo in cui la violenza militare continuerà, continueremo a creare una generazione di odio che renderà le cose solo peggiori. Dobbiamo smetterla, adesso.
E' per questo che rifiuto. Non prenderò parte attiva nell'occupazione dei territori palestinesi e dell'ingiustizia che viene fatta nei confronti del popolo palestinese sotto occupazione. Non prenderò parte al ciclo dell'odio a Gaza e Sderot.

Il mio giorno sarà il 10 gennaio, quando dovrò presentarmi a rapporto alla base israeliana di Tel Hashomer e dichiarerò il mio rifiuto di servire l'esercito e la mia volontà di fare servizio civile alternativo.

In qualche discussione con persone care sono stata accusata di far male alla democrazia non obbedendo a leggi dello Stato. Ma il popolo palestinese nei territori occupati vive sotto le regole del Governo israeliano, sebbene non lo abbiano eletto. Sono convinta che fintanto che Israele continuerà ad essere un paese occupante, continuerà ad allontanarsi dalla democrazia. E quindi il mio rifiuto fa parte della lotta per la democrazia, non è un atto antidemocratico.

Mi è stato detto che evito la mia responsabilità verso la sicurezza dello Stato di Israele. Ma come donna che vede tutte le persone come uguali, e le loro vite ugualmente importanti, non posso accettare l'argomento sicurezza se lo si applica realmente solo agli ebrei. E adesso in particolare, che l'onda di terrore continua, è chiaro che l'esercito non è neanche in grado di garantire la sicurezza agli stessi ebrei, perché non si può creare sicurezza con una occupazione oppressiva. Una vera sicurezza sarà raggiunta solo quando il popolo palestinese vivrà in libertà e dignità in uno Stato indipendente vicino a quello di Israele.
C'era poi chi era preoccupato del mio personale futuro in uno Stato in cui il servizio militare ha così tanta importanza. Mi hanno suggerito di servire l'esercito senza tener conto delle mie opinioni o almeno di non rifiutare pubblicamente. Ma pur passando attraverso difficoltà e preoccupazioni ho deciso di rifiutare pubblicamente. Questo stato, questo paese, questa società sono troppo importanti per me per accettare di tacere. Non sono stata cresciuta per occuparmi solo di me stessa, la mia vita finora è stata rivolta al dare e alla responsabilità sociale, così voglio continuare.

Mi auguro che il mio rifiuto, anche se devo pagare per esso un prezzo personale, aiuterà a portare in superficie nel discorso pubblico di Israele l'occupazione, perché tanti israeliani non “sentono” l'occupazione e se ne dimenticano nella quotidianità delle loro vite che sono tanto sicure in confronto a quelle dei palestinesi, o anche degli israeliani che vivono nel Negev occidentale (vicino a Gaza).
Ci è stato detto che non c'è altra strada che quella della violenza militare. Ma io credo che questo sia il modo più distruttivo, e che ce ne siano altre. Io voglio ricordare a tutti noi che ci sono alternative: negoziato, pace, ottimismo, una vera volontà di vivere da eguali, sicuri e liberi. Ci è stato detto che l'esercito non è politico, ma servire l'esercito è una decisione politica con un grande significato, esattamente come rifiutarlo.

Noi giovani dobbiamo capire in profondità il significato di questa decisione. Dobbiamo capirne le conseguenze sulla nostra società. Dopo avere fatto ciò, la mia decisione è il rifiuto.
La prigione militare mi spaventa molto meno della nostra società che perde umanità.

Tair Kaminer

Gennaio 2016

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