Pregare al tempo del Covid 19 - Monastero del Bene Comune

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domenica 22 marzo 2020

Pregare al tempo del Covid 19

        

        Parto da una piccola esperienza di questi giorni. 
Al Monastero del Bene Comune le attività e gli appuntamenti sono sospesi, non c'è nessuno. La porta è chiusa. Anche il cancello che dà sul viale d'ingresso e che in questi anni è divenuto simbolo dell'accoglienza per chiunque, non è aperto come sempre. Girare per i campi, il chiostro, l'aula liturgica e non vedere anima viva ti spezza il cuore e ti brucia dentro un desiderio struggente di incontrare i volti e ascoltare i racconti delle sorelle e dei fratelli che, nel giorno del Signore, si danno appuntamento per vivere la memoria viva del Signore e nutrirsi della sua Parola in questo luogo.
Rimasto solo, decisi di fare un giro di telefonate ai miei fratelli e sorelle di sangue. 
Sono l'ultimo di cinque, tocca quindi a me farli sentire meno soli, visto che sono incamminati verso la solitudine della vecchiaia. 
Fu forte come non mai il desiderio di risvegliare in me il legame di famiglia, forse un po' affievolito dal fatto che ognuno di noi ha percorso cammini differenti nella vita. 
Mi accorsi che anche loro condividevano lo stesso sentimento. “Grazie, Silvano –mi disse Luigi, l'ultimo a cui telefonai – è vitale poterci sentire in questi momenti (nessuno dei miei usa Internet o WhatsApp)- e concluse – Chissà se e quando riusciremo a vederci”.
Sono bastate queste parole “se e quando riusciremo a vederci” per essere travolto da un pianto irrefrenabile. Lo smarrimento mi attraverso da capo a piedi. Capii che non era la possibilità di morire a straziarmi il cuore ma la perdita del volto, dei volti, delle relazioni, insomma la perdita del mio essere umano in quanto umano.
Pensai ai miei antenati che salutavano i figli in partenza per il fronte senza sapere se e quando li avrebbero rivisti, al giovane senegalese che attraversò il deserto e il mediterraneo e che ora vive con noi... forse non vedrà più il volto di sua madre e della sua famiglia, ai deportati, ai desaparecidos e ai loro cari, ai piccolo bambini soldato, a chi piange l'amore della sua vita. 
Non è la morte a spaventare ma la morte dell'umano, cioè la morte dell'amicizia, della tenerezza, della condivisione, dei sogni, della poesia che abita in noi, degli affetti, della solidarietà, del bene e dell'amore. Questi sono beni che non si possono comperare, ci sono dati gratis. Sebbene non ce li meritiamo, senza di essi la vita piomberebbe nella non vita della depressione. Qui sta la possibilità di perdere o salvare l'anima, cioè di perdere o mantenere la propria integrità umana. 
Due sentimenti contrastanti avvertii nell'intimo della coscienza. Una voce mi diceva: sei prete, prega e fai pregare. Sentivo il richiamo alla preghiera e tuttavia qualcosa del pregare mi disturbava, soprattutto l'immaginario sacrale (in certi momenti è il primo che viene alla mente) di suppliche, sacrifici, digiuni, rosari, coroncine ecc. L'altra voce, quella della coscienza, mi suggeriva che quella pantomima non ha nulla a che vedere con la preghiera. Eppure, contemporaneamente, in me c'era il gemito, forse l'urlo, della preghiera.
Stetti nel silenzio. Mano alla bocca, sentii necessario non dire più.
L'inquietudine che accompagna il dramma di questi giorni si manifesta in un dilagare irrazionale di asinerie deliranti: spiegazioni pseudo scientifiche, messaggi da madonnari, folli proiezioni della permalosità umana su Dio, interpretazioni ricevute direttamente da lui o da chi gli sta molto vicino. Una vera fiera della cialtroneria del sacro con Radio Maria e dintorni capofila.
Sull'assioma dell'onnipotenza di Dio di fronte al virus, accidenti, sua creatura, alcuni opinionisti un po' troppo cattolici, criticarono la risoluzione di chiudere le chiese, di non celebrare la messa e di non pregare nelle chiese perché, per debellare la pandemia, secondo loro, non c'è che la forza della preghiera. 
Posta in questi termini la questione, possiamo già prevedere che il Signore non uscirà vincitore da questa sfida ma sconfitto. Tutti lo sanno ma proibito ammetterlo. Eppure, video messaggi, immagini sacrocuoriste, manine giunte di icone-emoji che invitano all'orazione imperversano sui social. Viene da pensare che l'angoscia spinge a tentarle tutte. Ma di angoscia si tratta!
Perché siamo arrivati a un simile mercimonio?
La religione ha fatto suo il dogma di una religione ancor più potente, più efficiente, più salvifico, più fascinoso: la religione del mercato dove tutto si compra e tutto si vende, dove tutto è regolato dal gioco della domanda e dell'offerta, dove le relazioni seguono i paradigmi del servo-padrone e dell'amico-nemico. Un mondo mondano così fatto proietta se stesso nel mondo del trascendente con le stesse regole e gli stessi dinamismi.
Noi sacrifichiamo, supplichiamo, digiuniamo, preghiamo, agiamo tutto come piace a te, e tu in cambio ci dai quello che ti chiediamo. Sulle bancherelle del sacro ci sono molti prodotti, alcuni offerti con sconti speciali. Tu, o Signore, ti sentirai gratificato nella tua onnipotenza e noi confermati nella tua dottrina. Noi non vediamo l'ora di gridare con forza: “Ecco il tuo dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto”. 
Con infinita tristezza assistiamo in questi giorni al ritorno del vitello di metallo fuso.

Dopo queste considerazioni ne seguono altre e penso che forse la gente comune non è poi così incrostata di idolatria come in certi ambienti ecclesiastici. Grazie al famigerato secolarismo e spirito laico, forse le persone che incontriamo per strada hanno una percezione meno magicosacrale di quanto si possa immaginare. Alcune espressioni di religiosità non sono che linguaggi, balbettii, sussulti di qualcosa più profondo; quasi una ricerca inconscia e spontanea di un “Rifugio superiore” nel quale trovare e salvare l' integrità di ciò che siamo nel profondo di noi stessi. Dobbiamo pertanto discernere in noi e nelle persone questo fil rouge che lega tutte le forme di preghiera, anche le più strampalate.
Trovo invece deplorevole che i pastori facciano mercato di consenso o di altro su questi aneliti sinceri del cuore e che invece di promuovere la preghiera nello Spirito, che unico conosce e scruta il nostro spirito, si ostinano nella preghiera del tempio.
Le riflessioni  più serie scientifiche, antropologiche, spirituali e teologiche che ci giungono in questi giorni critici sono le più delicate,  ossia quelle che si astengono da conclusioni perentorie. Anche la preghiera dovrebbe custodire la stessa delicatezza.
Alla cialtroneria del mercato religioso possiamo opporre, testimoniando, una via di Preghiera con la (P) maiuscola che non si confonde con le preghiere (p minuscola). È la Preghiera del segreto della stanza, la preghiera dei gemiti dello Spirito che prega in noi, la preghiera dell'amore. La Preghiera che è sempre con noi per sostenerci nel diventare ciò che siamo, cioè umani.

p. Silvano Nicoletto

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