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mercoledì 13 maggio 2020

L’esilio forzato dei migranti in Africa


L’altra faccia della pandemia

L’esilio forzato dei migranti in Africa


Dalla Somalia al Niger, dalla Libia al Sudafrica, migliaia di persone sono rimaste intrappolate nel luogo e nel paese in cui si trovavano quando l’emergenza coronavirus è scattata. Per molti di loro ora la speranza è riuscire a tornare vivi a casa.

12 Maggio 2020      Antonella Sinopoli



Sono in migliaia, giovani, donne, bambini e di diversa nazionalità, gli africani in “esilio forzato” in terra africana. Bloccati alle frontiere, più inaccessibili che mai in questo tempo di pandemia. Bloccati in campi di transito, porti e persino miniere, come sta accadendo ad almeno un centinaio di minatori illegali “prigionieri” sottoterra nella provincia di Gauteng, in Sudafrica. Mentre in Burkina Faso sono circa 1.800 i minatori nigeriani impegnati nell’estrazione dell’oro nelle aree più interne del paese, che ora non riescono a tornare a casa.
Inutile dire che tali affollamenti creano situazioni pericolose, dal punto di vista sanitario e sociale. Si vive in uno stato di tensione costante, in precarie condizioni igieniche e senza accesso a controlli medici e cure. Moltissimi di loro, prima della quarantena, erano in viaggio per raggiungere mete che – nei sogni e nelle speranze – avrebbero cambiato la loro vita: un lavoro in Europa, nei paesi arabi, o semplicemente in quello confinante.
Ma molti altri ancora sono stati abbandonati dai trafficanti che con quei corpi erranti non possono in questo momento fare affari. E poi ci sono gli studenti, quelli ciadiani bloccati in Camerun, per esempio, o quelli del Lesotho bloccati in Sudafrica.
Ma attenzione, molti di fatto stanno approfittando delle maglie larghe dei confini e della compiacenza degli ufficiali di controllo. Come testimonia suor Betta Raule, missionaria comboniana, da anni in Ciad, dove è al momento impegnata nell’ospedale di Bebedja nella diocesi di Doba.
“Molti studenti ciadiani che si trovavano in Camerun quando è stata dichiarata la pandemia hanno di fatto attraversato la frontiera, sono stati fatti passare, e sono ritornati in Ciad. E sono centinaia gli studenti che continuano ad ammassarsi alla frontiera. Questi giovani vengono considerati come casi potenziali, sospetti di coronavirus. A loro il governo chiede di recarsi a N’Djamena per essere testati, se hanno dei sintomi”. Quanti saranno quelli che si lasciano sottoporre ai controlli o che si mettono in auto quarantena?
L’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) aiuta a capire la portata di un problema che potrebbe aumentare il rischio contagi, ma anche, appunto, incidere sulla sicurezza. Nell’Africa orientale sarebbero 2.300 i migranti fermi a Gibuti, tra loro molti somali che speravano di attraversare il Golfo di Aden e arrivare in Arabia Saudita attraverso lo Yemen. Un viaggio pericoloso, come quelli del Mediterraneo, e che queste persone non riusciranno più a fare. Almeno non per il momento, visto che anche i trafficanti sembra che abbiano dovuto rallentare le loro manovre.
Ma i maggiori controlli – dovuti alla pandemia, non alle politiche per arginare i flussi migratori – stanno peggiorando la situazione. Ci sono testimonianze – così come riporta il quotidiano britannico The Guardian – di viaggi organizzati e gestiti in modo ancora più rischioso. Sia attraverso la rotta del Mar Rosso, sia attraverso il deserto.
E il rischio, dovuto a maggiori pattugliamenti, ha fatto alzare la posta ai trafficanti. Da 500 a 1000 dollari per arrivare da Gibuti alle coste dello Yemen, da 80 a 300 dollari per consentire il passaggio dalla frontiera del Niger alla Libia.
Secondo il Danish Refugee Council sono 1.500 i migranti e rifugiati che affollano i centri di detenzione libici. Centri dove stupro, abusi, lavoro forzato avvengono sistematicamente. C’è poi la situazione inversa, moltissime persone evacuate dalla Libia verso il Niger a partire dal 2017 e in attesa del reinsediamento in paesi europei, sono di fatto dimenticati e – ricorda l’International Rescue Committee – al momento solo il 18% delle domande è stata accettata.
Molti altri, per esempio i migranti espulsi dall’Algeria, sono fermi in centri di transito in Niger e anche le opzioni per tornare nel proprio paese, tramite il programma di rientro volontario, sono al momento nulle, visto che il programma è stato interrotto – a causa del Covid – e riprenderà in data da destinarsi.
In totale sarebbero 2.462 i migranti affollati in centri di transito, siti di quarantena e altri tipi di alloggi in Niger. Mentre le organizzazioni umanitarie fanno sapere che continuano ad arrivarne, dopo giorni di cammino a piedi, abbandonati in aree desertiche dai trafficanti che a un certo punto decidono di non proseguire oltre.
Se ne contano poi almeno 1.000 intrappolati in Mauritania, provenienti dal Mali e dal Senegal. Particolarmente delicata la situazione a Bosaso, nella regione del Puntland, in Somalia, dove in un solo giorno sono arrivate 600 persone, molte provenienti dall’Etiopia, un paese che non ha sbocco sul mare e da dove occorre raggiungere la Somalia, appunto, nella speranza di trovare un passaggio verso lo Yemen.
Secondo l’OIM la “rotta orientale” è ancora molto trafficata, nonostante la chiusura delle frontiere. Anzi, rispetto all’aprile 2019, nello stesso mese di quest’anno i migranti arrivati sono stati 501 in più. Sono però calate le partenze: 8.261 in meno i migranti che quest’anno sono riusciti ad attraversare il Golfo di Aden. In un modo o nell’altro.
Migranti senza speranza premono anche alle frontiere ugandesi, della Tanzania, del Mozambico, del Sudafrica. In questa situazione “si sta assistendo a un preoccupante aumento della retorica anti-migrante, retorica che vede lo straniero come capro espiatorio”, ha dichiarato il direttore generale della Oim, António Vitorino.
Un atteggiamento che pregiudica anche gli interventi e gli aiuti a questa enorme folla di disperati che non sa dove andare e non ha mezzi propri di sussistenza. E non bisogna dimenticare che sono decide e decine (anche se è difficile avere un dato certo) i casi di positività al Sars-Cov2 accertati nei campi e nelle strutture dove vengono tenute queste persone.
Le organizzazioni che lavorano con i migranti stanno denunciando casi di xenofobia, ma anche trattamenti discriminatori – ad esempio persone messe in quarantena in base alla loro etnia -, difficoltà di accedere agli aiuti alimentari e ai test.
Intanto, per cercare di alleggerire il dramma, l’Organizzazione mondiale delle migrazioni sta cercando di negoziare corridoi umanitari per consentire il maggior numero possibile di rimpatri. È così che il sogno inverte la sua direzione. Tornare a casa diventa la speranza.










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