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sabato 1 agosto 2020

Liberiamo il popolo del Togo

Lettera-manifesto dei comboniani togolesi che vivono in Brasile

Liberiamo il popolo del Togo

Nell’Africa occidentale, il popolo del Togo si batte per uscire dalla morsa della famiglia Gnassingbé che spadroneggia da oltre 50 anni. Una dittatura che ha disseminato povertà, paura, rassegnazione, corruzione, perdita della dignità, esilio. Una lettera-manifesto dei missionari comboniani togolesi che operano in Brasile denuncia questo stato di cose
31 luglio 2020

Il popolo togolese chiede aiuto agli uomini e alle donne di buona volontà.
Piccolo paese della costa occidentale dell’Africa, il Togo è uno stato sub-regionale atipico. Un rettangolo di terra di 56.600 km² situato nel Golfo di Guinea. La sua popolazione è di quasi 7 milioni di abitanti. Confina a nord col Burkina Faso, a ovest dal Ghana e a est dal Benin, mentre a sud guarda la costa dell’Oceano Atlantico per 50 km. La capitale è Lomé, adagiata sull’Atlantico.
Il Togo è stato una colonia tedesca dal 1884 al 1914, molto prospera per quei tempi. Dopo la vittoria alleata sui tedeschi nella Prima guerra mondiale, il Togoland venne diviso tra i vincitori: all’Inghilterra andò la parte più ricca del paese, a ovest, che venne unita al Ghana, colonia inglese: l’altra parte, corrispondente all’attuale Togo, venne affidata alla Francia, che l’amministrò sotto il mandato dello Società delle Nazioni, precursore delle Nazioni Unite. Nel 1960, ebbe accesso alla sovranità internazionale: divenne indipendente, con alla guida il suo primo presidente, l’economista Sylvanus Olympio.
Ma il 13 gennaio 1963, un colpo di stato, il primo nell’Africa indipendente, poneva fine all’esperienza democratica di Olympio: sostenuto dalla Francia, quel golpe vedeva il presidente ucciso da soldati togolesi. L’assassinio di Olympio, unica vittima di quel golpe, venne più tardi rivendicato da colui che venne presentato come il leader del colpo di stato, il sergente maggiore Etienne Eyadema Gnassingbe.
Per consolidare questo status, un sistema di governo oligarchico si è venuto organizzando intorno alla famiglia Gnassingbe e alle forze armate togolesi che controllavano tutto. L’esercito è l’organismo che protegge il sistema. Divisioni e disuguaglianze vengono strumentalizzate dal potere per il controllo della popolazione. Chi osa alzare la voce per criticare “il sistema”, chi osa chiedere maggiore libertà e dignità, viene ostracizzato, imprigionato, spinto all’esilio se non addirittura fisicamente eliminato.
Chiesa divisa
La Chiesa cattolica, vera forza morale del paese, si è però ritrovata compromessa con il regime, già sotto l’episcopato del primo arcivescovo togolese, monsignor Robert Dosseh, uno dei pochi vescovi africani neri che presero parte al concilio Vaticano II. Il clero stesso era diviso, anche su basi etniche, in favore o contro il regime, incapace di compiere una lettura evangelica della situazione socio-politica che il paese viveva.
Con il soffiare del vento del multipartitismo e della democrazia all’inizio degli anni Novanta, monsignor Philippe Kpodzro, allora vescovo della diocesi di Atakpame, veniva scelto dalla classe politica, con l’approvazione della popolazione e l’autorizzazione della Santa Sede, a presiedere la Conferenza nazionale sovrana, che fece nascere il multipartitismo e portò alla formulazione di una nuova Costituzione, a tutti i togolesi nota come quella del 1992, approvata come in un plebiscito. La Costituzione limitava a due il numero dei mandati consecutivi del presidente della repubblica.
Dopo 38 anni al potere, il presidente Eyadema moriva nel febbraio 2005. L’esercito ha imposto come presidente suo figlio Faure Gnassingbe.
Sotto la guida di mons. Philippe Kpodzro, divenuto nel frattempo arcivescovo di Lomé, la gente scendeva in piazza a protestare e a chiedere giustizia, rispetto dei diritti umani, della lettera della Costituzione e della democrazia. Ma questo non ha impedito a Faure di farsi rielegge sia nel 2010 sia nel 2015.
Elezioni fasulle
Le ultime elezioni presidenziali, per un quarto mandato a Faure Gnassingbe, si sono svolte il 22 febbraio scorso. Unanimi gli osservatori: quelle elezioni sono state macchiate da frodi e irregolarità che hanno sottratto la vittoria al vero vincitore, come dimostra anche la dichiarazione della Conferenza episcopale del Togo del 1° marzo 2020: Gabriel Agbeyome Kodjo. Era lui, l’ex primo ministro, candidato della maggioranza dell’opposizione, che avrebbe dovuto garantire l’alternanza al potere in Togo. E invece… Agbeyome è stato incriminato e ha finito per rifugiarsi (così le voci che corrono) all’ambasciata americana in Togo per sfuggire alla cattura.
Grande la delusione della gente che non sa più dove sbattere la testa. I primi mesi del quarto mandato di Faure sono segnati dall’assassinio di più persone, anche militari che sembrano criticare “il sistema”. Gravi le conseguenze della dittatura sul vissuto della gente: povertà, paura, rassegnazione, corruzione, violazioni della dignità umana, l’esilio di tanti togolesi che non fanno che rivendicare i propri diritti. La privatizzazione delle infrastrutture, la negazione dei diritti fondamentali (salute, scuola, libertà di espressione, …) stanno aggravando la miseria della gente.
Per tutti questi motivi, noi missionari comboniani togolesi in Brasile, alziamo la voce per chiedere agli uomini e alle donne di buona volontà di apportare il loro contributo alla lotta contro questa moderna schiavitù, di sostenere l’anelito del popolo togolese alla libertà e alla democrazia e di fare pressione sul governo francese, che a parole tergiversa, ma nei fatti dà tutto il suo sostegno al sistema dittatoriale che tiene in ostaggio l’intero popolo togolese.

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