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sabato 10 gennaio 2015

> Il terrorismo di ritorno

Pubblichiamo l'articolo di Michele Paris
http://www.altrenotizie.org/esteri/6330-il-terrorismo-di-ritorno.html

Gli scenari emersi subito dopo l’orrenda strage di mercoledì nella redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo appaiono prevedibilmente simili a quelli registrati virtualmente ovunque nell’ultimo decennio dopo ogni singolo episodio classificato come atto di “terrorismo”. Non solo la rivelazione dell’identità e il modus operandi dei reponsabili dell’attacco hanno come sempre aggiunto più dubbi che certezze alla vicenda, ma anche le reazioni dei governi e dei media ufficiali hanno innescato nuovamente il consueto squallido tentativo di occultare le cause reali di simili episodi di violenza e le questioni cruciali che dovrebbero essere sollevate.


Quasi automaticamente, per cominciare, l’individuazione degli autori dell’attentato che ha provocato dodici vittime a Parigi si è accompagnata alla diffusione della notizia che i giovani e, in particolare, uno di essi, erano ben noti alle forze di sicurezza francesi.

Ciò era accaduto, solo per citare gli episodi più recenti, nel mese di ottobre anche a Ottawa, in Canada, e lo scorso dicembre a Sydney, in Australia. A differenza di questi ultimi due casi, tuttavia, il massacro parigino alimenta maggiori interrogativi, visto che la dinamica dei fatti ha messo in luce come i responsabili avessero pianificato in maniera dettagliata e professionale l’assalto, condotto con armi automatiche non sono esattamente facili da reperire.

Uno dei tre uomini, il 34enne di origine algerina, Chérif Kouachi, era poi passato attraverso il sistema giudiziario transalpino a partire almeno dal 2005, per avere dapprima tentato di unirsi alle forze anti-americane in Iraq e successivamente a causa dei suoi legami con un’organizzazione islamista che cercava di inviare fedeli musulmani a combattere nello stesso paese mediorientale occupato.

Chiedersi come individui conosciuti dai servizi di sicurezza di un paese come la Francia, teoricamente in primissima linea contro la minaccia “terroristica”, possano essere sfuggiti al controllo e mettere in atto un attentato così clamoroso e ben studiato appare oggi quasi un esercizio scontato, anche se scontate e fin troppo banali appaiono in realtà le spiegazioni solitamente offerte dalle autorità e che hanno quasi sempre a che fare con presunti “errori” o “falle” dei servizi di intelligence.

La storia proposta dai giornali dei sospettati delle morti nell’edificio che ospita il settimanale Charlie Hebdo consente in ogni caso di fare una riflessione sul processo di radicalizzazione attraverso il quale continuano a passare molti giovani musulmani.

L’attentato potrebbe essere stato commesso da individui disorientati dalle vicende politiche e belliche che hanno riguardato i paesi islamici in questi ultimi decenni, così come dall’alienazione vissuta dai musulmani in Europa, negli Stati Uniti, in Canada o in Australia in parallelo con l’adozione di misure discriminatorie nei loro confronti e con il ricorso da parte delle classi dirigenti a iniziative di natura xenofoba se non apertamente razzista.

Allo stesso tempo, la scrupolosa pianificazione dell’attentato nell’11esimo arrondissement di Parigi sembra non poter escludere nemmeno l’ipotesi che gli uomini armati siano stati appoggiati in qualche modo da entità organizzate che perseguono una precisa agenda destabilizzatoria.

Qualunque sia la verità, le operazioni portate a compimento dall’estremismo islamista come quella di mercoledì - se la matrice dell’attentato sarà effettivamente confermata - non possono essere comprese senza un’analisi delle conseguenze delle decisioni di politica estera prese dai governi occidentali.

Parigi, così come Washington e Londra, da tempo sono protagoniste di un gioco molto pericoloso in Medio Oriente e in Africa del nord, dove i rapporti ambigui, per non dire di aperta collaborazione, con organizzazioni jihadiste vengono sfruttati deliberatamente per avanzare i propri interessi.

Questa sorta di partnership si concretizza spesso nella fornitura diretta di armi a cellule integraliste che, in Libia come in Siria, hanno svolto o continuano a svolgere il ruolo di alleati nella lotta per il rovesciamento di regimi ostili.

Ancora più stretti sono addirittura i rapporti tra paesi come la Turchia o le monarchie assolute del Golfo Persico alleate dell’Occidente e questi gruppi fondamentalisti, utilizzati per il lavoro sporco contro i rivali regionali (Iran, Siria), salvo poi pagarne le conseguenze quando sfuggono al loro controllo.

Quali che siano i legami, i mandanti o le simpatie degli attentatori di Parigi, è indubbio che l’attentato contro Charlie Hebdo vada inserito in questo panorama inquietante, al cui delineamento lo stesso governo francese ha contribuito in maniera decisiva.

I governi sia di Sarkozy che di Hollande hanno d’altra parte promosso la fornitura di armi, denaro e addestramento ai “ribelli” prima libici poi siriani, inclusi quelli di tendenze ultra-fondamentaliste, alimentando di fatto una minaccia jihadista che ha finito per bussare alla porta dei loro stessi benefattori occidentali.

Piuttosto che cercare di fare chiarezza su questi aspetti, tuttavia, giornali e televisioni operano da casse di risonanza per governi che sfruttano ogni occasione per implementare, da un lato, misure sempre più anti-democratiche con la scusa di combattere la minaccia del terrorismo e per alimentare, dall’altro, tendenze di estrema destra già ampiamente riscontrabili in tutta Europa.

In questa prospettiva la strage di Parigi non è solo un atto feroce e spietato ma anche profondamente reazionario, in quanto consente ai leader dei paesi colpiti di promuovere politiche da stato di polizia sul suolo domestico e di aumentare l’impegno militare all’estero, vale a dire iniziative oggettivamente impopolari e, diversamente, difficili da adottare in una società democratica.

Per fare ciò è necessario proclamare, come viene fatto appunto in queste ore, una sorta di scontro culturale in atto tra un estremismo cieco e, come ha ad esempio spiegato pateticamente giovedì il New York Times, “la devozione dell’Occidente per la libertà di espressione”.

In realtà, la rivendicazione del ruolo di difensori dei valori democratici di fronte alla barbarie fondamentalista da parte di individui come il presidente francese Hollande appare rivoltante, poiché le vicende di questi anni indicano piuttosto uno scenario nel quale sono i popoli musulmani a essere le vittime della violenza prodotta dalla nuova fase di un imperialismo occidentale senza scrupoli.

La ferma condanna dell’attentato di Parigi e la più che giustificata espressione popolare di solidarietà con le vittime non devono però essere confuse con la difesa della libertà di espressione, ostentata dai politici, nel caso di Charlie Hebdo.

L’appello alla difesa dei valori democratici dell’Occidente da parte di media e politici di fronte alla brutalità del fondamentalismo islamista andrebbe dunque messo a confronto con una strategia consolidata in oltre dieci anni di “guerra al terrore”, per poi verificare se e quanto s’intersecano con le reali responsabilità e implicazioni per il clima tossico nel quale si verificano episodi cruenti come quello che ha sconvolto la capitale francese in questo scorcio di nuovo anno.

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