AMAZZONIA, BELLEZZA FERITA
Ho avuto la grazia di raggiungere il Brasile nell’agosto del 2011 e vi ho vissuto due esperienze di circa tre anni, in due distinte realtà amazzoniche: i primi anni in un contesto più rurale, Santo Antônio do Matupi, e gli ultimi a Porto Velho, capitale dello Stato di Rondônia.
Quando penso alla «bellezza ferita» amazzonica non mi riferisco tanto alla questione ambientale, seppur le due comunità in cui ho dimorato si trovassero esattamente in quella regione conosciuta come “Arco della deforestazione”. Le immagini satellitari rivelano la forma arcuata dello scempio di migliaia di ettari di foresta, devastata per fare spazio ad allevamenti estensivi di bovini, alle monocolture e allo sfruttamento illegale di legno pregiato e minerali. La «bellezza ferita» è quella della gente: come ha ricordato papa Francesco nella Laudato si’, «non esiste una crisi ambientale e una crisi sociale, ma un’unica crisi socio-ambientale» (n. 138).
I miei contatti con le popolazioni indigene sono stati pochi e circoscritti; esperienze puntuali.L’Amazzonia che ho incontrato più da vicino è intrecciata con la regione Nord-est del Paese. Il legame risale al Settecento per i ribeirinhos, coloro che abitano le rive dei fiumi, ma è molto più recente per coloro che hanno raggiunto l’Amazzonia dagli anni Settanta del secolo scorso, con un processo migratorio originato dal Nord-est e anche da alcune regioni meridionali del Brasile: Santa Catarina, Paraná e Rio Grande do Sul.
Nel lavoro con i giovani, mi ha colpito la scarsa opportunità che hanno di accedere a un’istruzione di qualità. Nelle zone più interne e isolate molti insegnanti, qualificati in una o due materie, suppliscono anche per le altre, pur senza averne la competenza. La scuola, a volte, è raggiungibile soltanto con la barca, e ciò subordina la frequenza alle condizioni meteorologiche e stagionali, ovvero alla piena o alla secca dei fiumi.