Le “Terre alte” di Steve McCurry, un viaggio al centro dei margini - Monastero del Bene Comune

NEWS

Home Top Ad

Post Top Ad

venerdì 27 agosto 2021

Le “Terre alte” di Steve McCurry, un viaggio al centro dei margini

 Le "Terre alte" di Steve McCurry, un viaggio al centro dei margini


25 Agosto 2021

In giorni nefasti per le notizie che giungono dall’Afghanistan scorrere la pagina Instagram di Steve McCurry è un pugno in faccia. Considerato una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea, McCurry non ha bisogno di grandi presentazioni: ti arriva dritto nello stomaco con i suoi scatti da circa 30 anni. Non solo per il colore, le luci, la tecnica, la sensazione che l’espressività di certi volti e la poesia di certe inquadrature esistano unicamente davanti al suo obiettivo. Le foto di McCurry raccontano la storia dell’umanità, dell’empatia e del dolore, delle tragedie e delle piccole indimenticabili esistenze che hanno incrociato i suoi occhi.

Guardare le foto che McCurry ha scattato nell’Afghanistan di oltre 20 anni fa dà i brividi. I primi dei molti viaggi in India e in Pakistan. Poi il passaggio oltre il confine grazie a un gruppo di rifugiati, che gli ha permesso di entrare clandestinamente nel Paese mentre si chiudevano le porte in fronte a tutti i giornalisti occidentali. Ne è riemerso dopo settimane tra i mujahidin, mostrando al mondo le prime immagini del conflitto in Afghanistan. Un conflitto a cui ci siamo abituati, ma che ci sconvolge ancora per le sole briciole del terrore che arrivano a noi: uomini aggrappati alle ruote di un aereo che cadono nel vuoto insieme alle ultime speranze di fuggire, giornaliste indipendenti e sul fronte coperte di nero velo da un giorno all’altro, rastrellamenti nelle case, documenti che bruciano per salvare donne vittime di altra violenza, menzogne e angoscia.

La ragazza afghana dai potenti occhi verdi del 1984 è una goccia di estrema bellezza il cui sguardo penetrante sembra, oggi, ancora più surreale. Nella mostra inedita allestita a Palazzo delle Albere a Trento e visitabile fino al prossimo 19 settembre, quella foto campeggia nella Icons room, la sala dedicata alle immagini più famose, quelle che abbiamo visto sulle copertine dei libri, quelle che a McCurry hanno valso premi tra i più ambiti e importanti della fotografia. Foto che emozionano e condensano in istanti alcune tra le più impegnative e indispensabili battaglie che l’umanità combatte: il diritto all’istruzione e all’alfabetizzazione, i diritti degli animali, l’incertezza delle “Terre alte” che è anche il titolo della mostra organizzata congiuntamente da Mart e MUSE in una delle sedi più suggestive che la città potesse offrire.

Non solo guerre in questa galleria di 130 immagini, ma un viaggio tra le altitudini del mondo: oltre a un Afghanistan a tratti onirico, troviamo il Tibet, la Mongolia, il Giappone, il Brasile, la Birmania e poi ancora le Filippine, il Marocco, lo Yemen, l’India e il Ghana per citare solo alcuni paragrafi di un racconto che intreccia le simbiosi tra popoli, animali e paesaggi all’insegna della bellezza delle terre e della fierezza dei volti. Potenza inaudita per fare della sacralità un linguaggio adatto alle condizioni più estreme, in bilico tra pericolo e risorsa, tra soprusi e rivincite umane e ambientali, che dialogano in maniera evocativa con l’essenza stessa del luogo in cui le immagini sono esposte: scienze e natura, filosofia e arti, ricerca estetica e antropologia.

L’idea della mostra, realizzata in collaborazione con Sudest57, l’agenzia italiana che rappresenta i maggiori fotografi internazionali, e pensata per una sempre più forte collaborazione tra i due musei, è un inno al viaggio: non quello che sposta le persone, ma quello che le fa crescere, incontrare, scendere nelle profondità degli animi e dei luoghi e risalire i crinali delle culture e delle trasversali speranze. Quel viaggio che resta fonte di incrollabile gioia, per parafrasare una delle citazioni riportate nella mostra, e che nell’incanto dell’esplorazione esplode di pericoli e opportunità, di tragedie e bellezza.

In quasi tutti gli scatti si percepisce traccia di un sottile filo di collegamento: quella fragilità sottesa, quella malinconia degli spazi sconfinati e dei tempi dilatati che la poetessa Rupi Kaur custodisce nel cuore “ben oltre l’atterraggio in un paese che non ci desiderava”, quel silenzio che parla la lingua di ciascuno nel rivelare la fatica e la determinazione di stare mondo, a qualunque latitudine, a qualunque altitudine.

Chissà se dell’Afghanistan di questi giorni resterà traccia di quella decolonizzazione culturale che anima le foto di McCurry, di quella vena pacifista e di quell’impegno umanitario che raggiunge le culture ignorate o sottorappresentate. Chissà se oltre questo dolore resterà anche per chi verrà dopo di noi qualche straccio strappato indossato con incrollabile dignità, o un paio di occhi verdi a fare luce sull’oscurità del mondo.

Anna Molinari


https://www.unimondo.org/Notizie/Le-Terre-alte-di-Steve-McCurry-un-viaggio-al-centro-dei-margini-212869

Post Bottom Ad

Pages