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 l’infanzia dei bambini siriani - Monastero del Bene Comune

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venerdì 10 ottobre 2014

> Crescere tra pietre e fango
 l’infanzia dei bambini siriani

Reportage dal Libano di Emma FarnèBeirut
Vivono nei campi tra pietre e fango, spesso devono lavorare quando non sono neanche adolescenti. In fuga dalla guerra, vivono da mesi nelle tendopoli. In Libano c’è un’intera generazione siriana che vive nella povertà estrema. E che sogna di tornare a casa
10 ottobre 2014
Yussef comuque sorride. Sorride anche se la sua scuola è in una tenda, tra il fango e la polvere nella campagna della Bekaa. Come lui ci sono oltre mezzo milione di bambini in Libano: siriani, scappati dalla guerra. Le case e gli alberi che disegnano non ci sono più e forse li immaginano, perchè quello che vedono ogni giorno è una distesa di plastica, rifugi di fortuna in mezzo alle pietre. Ad aiutarli ci sono spesso insegnanti siriani come loro, che cercano di dimenticare quello che hanno visto.


Libri e giocattoli improvvisati
A Bar Elias, nella tendopoli grigia e in mezzo al fango c’è una stanza colorata. Dentro, una lavagna, giochi, libri per bambini. Con gli aiuti Ue consegnati dall’Unicef e fondi privati, una Ong locale, Iqraa li aiuta a crescere. La responsabile Rima Musallam racconta: “Di storie tristi è pieno. Qualche giorno fa una bambina ha perso la mamma che era andata in Siria per il funerale dei parenti, morti sotto i bombardamenti”. Poi ci sono gli sguardi degli insegnanti: raccontano che manca tutto. E ogni giorno cercano di far sorridere i bambini, anche con giocattoli di fortuna. Basta un fondo di bottiglia di plastica e un pezzo di legno. E una piccola mano che accende un ventilatore improvvisato. I sogni dei piccoli siriani? “Diventare medici, insegnanti. Gli stessi desideri dei vostri bambini”, dice un altro maestro.

Al lavoro nei campi
Il Libano non ha voluto campi profughi ufficiali come in Giordania e così quelli libanesi si chiamano informal settlements, insediamenti informali. “Quando perdono tutto, quando cambiano casa quattro, cinque volte, toccano il fondo e arrivano qui”, racconta un’operatrice Unicef. Non ci si può permettere più niente. Così i bambini lavorano: piccole mani che scavano nei campi, per 3, 4 dollari al giorno e fino a 12 ore di lavoro. Ne vediamo uno rimestare nell’acqua a Saadnayel, tra l’insediamento informale e la scuola allestita da una Ong locale, Beyond, in collaborazione con l’agenzia Onu. Una ragazza di Beyond spiega: “Li mandano comunque a lavorare. Così abbiamo allestito i turni scolastici pomeridiani. Almeno hanno un’istruzione”. Come lei, gli operatori stanno nella scuola fino a tardi, tutti i giorni.
“All’inizio tornavo a casa e non riuscivo a mangiare con così tanto dolore”, racconta un’operatrice della Ong. “Ora vedo i risultati del nostro lavoro. I bambini non disegnano più missili ma fiori. E li sento come se fossero la mia famiglia”.

Per non scordare la Siria
Nella scuola di Saadnayel un maestro siriano racconta: “Mi devo scordare da dove vengo, far finta che non ho vissuto la guerra. Altrimenti non ce la farei”. Davanti a lui una decina di ragazzi siriani, troppo piccoli per ricordare da dove vengono. E così i loro maestri gli cantano le canzoni del loro Paese. Organizzano spettacoli con vestiti tradizionali, gli raccontano le storie siriane. Ma in un angolo, in ogni classe, c’è sempre un bambino con lo sguardo assente, le mani nascoste sotto alle gambe. C’è chi ha visto morire un genitore, uno zio, un compagno di banco davanti agli occhi. “Li aiutiamo con medici, psicologi, con programmi per chi ha subito traumi. C’è stata una bambina che ha visto cose orribili. Non parlava, non camminava, stava morendo”, racconta un’operatrice di Beyond. Una piccola vita che è stata salvata, un sorriso in mezzo alla polvere e alle tende.

Il gelo dell’inverno
Ogni tanto si vedono uomini che rinforzano i tetti delle tende per la neve che presto arriverà. Molti bambini sono terrorizzati da chi sale sui tetti, pensano che siano cecchini. Altri invece stanno per patire un altro duro inverno. “L’anno scorso una bambina è tornata a casa da scuola e ha trovato la mamma morta di freddo”, racconta un’operatrice della Ong. “Le aule erano riscaldate, le tende invece no”. Intanto i piccoli escono dalle classi, in fila. Alla fine della giornata li fanno ripetere in coro, nel cortile della scuola fatta di tende: “Abbiamo diritto all’istruzione”.

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