Care
e cari sorelle e fratelli,
ho riflettuto un momento prima di
attribuirvi l'appellativo di sorella e di fratello perché mi
dispiacerebbe che fosse un semplice modo di dire dal tono omiletico,
un po' clericale.
Nel
2006 visitai i miei confratelli stimmatini in Paraguay, mi colpì uno
di loro perché salutava le persone chiamandole primo
prima,
cioè cugino cugina. “Perché li saluti in questo modo?” gli
chiesi - “Perché Hermano (fratello) è troppo impegnativo”- mi
rispose. Eppure quando penso al volto, alla voce, alla storia, alle
gioie e alle sofferenze di ciascuno di voi, non posso fare a meno di
sentire che tra noi, in questi anni Qualcuno ci ha fatto dono della
fraternità e della sororalità. E come vorremmo che questo tipo di
legame divenisse il fondamento delle relazioni in tutto il mondo e
con ogni essere vivente! Dunque mi dà serenità profonda il lieto
impegno di riconoscere tutti voi come sorelle e fratelli.
È vero, ci manca l'eucaristia
della domenica, giorno del Signore, tuttavia credo che in questo
tempo ci venga chiesto di scoprire una dimensione profonda della
nostra fede, ossia il sacerdozio comune, tanto a dire che ogni
discepolo/a del Signore, in quanto battezzato, cioè pienamente
immerso e coinvolto nella vicenda di Gesù, sul modello dello stesso
Gesù Cristo, offrendo se stesso attraverso ciò che fa e vive,
realizza il culto perfetto. In parole povere, tutti siamo sacerdoti e
sacerdotesse ogni qualvolta esprimiamo amore verso gli altri e verso
ogni essere vivente. Se non possiamo partecipare al sacramento
dell'eucaristia, allora scopriamo e viviamo la messa della vita.
Questo è il sacerdozio di Cristo e di tutti noi.
Se
posso permettermi, torno quindi a consigliare che in ogni casa, si
cerchi uno spazio adatto, magari ponendo al centro della mensa un
fiore e/o un cero acceso, si apra il libro della Bibbia, si possono
leggere i brani della Parola della domenica, esprimere qualche
considerazione o leggere insieme i pensieri meditativi che qui
presento e condividere qualche preghiera. A ricordo della Santa Cena
mangiamo insieme un po' di pane e beviamo un po' di vino. Dopo la
preghiera del Padre Nostro, il/la più giovane della famiglia
benedica gli altri membri.
Fraternamente
p. Silvano
Vieni
ed entra nei nostri cenacoli chiusi, Signore,
perché
abbiamo tutti e di tutto paura: paura di credere, paura di non
credere, paura di essere liberi; e poiché la tentazione di
asserragliarci in antichi steccati è sempre grande, vieni ed abbatti
le porte dei cuori, le diffidenze e i molti sospetti soprattutto fra
quanti dicono di crederti. Amen
Atti
2, 42-47; 1Pt 1, 3-9;
Gv.
20, 19-31
19La
sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le
porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei,
venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto
questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al
vedere il Signore. 21Gesù
disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche
io mando voi». 22Detto
questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A
coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui
non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso,
uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.
25Gli
dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli
disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non
metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel
suo fianco, io non credo».
26Otto
giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro
anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse:
«Pace a voi!». 27Poi
disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi
la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma
credente!». 28Gli
rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù
gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che
non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù,
in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono
stati scritti in questo libro. 31Ma
questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il
Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Salmo
117
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il
Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Ti preghiamo, Signore: Dona la
salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la
vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome
del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del
Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.
Il
brano comprende due scene (vv.19-23 e vv.24-29) e una conclusione
generale (vv.30-31). Nella prima scena è raccontato il venire di
Gesù in mezzo ai suoi, nella seconda, la vicenda che vede coinvolto
il discepolo Tommaso in un duplice dialogo: prima con gli altri
discepoli e poi con Gesù. Entrambi i momenti sono introdotti da una
coordinata temporale di notevole interesse: '19La
sera di quel giorno, il primo della settimana'
- '26Otto
giorni dopo'.
Non
è difficile pensare che queste indicazioni temporali riflettano
prassi della Comunità cristiana delle origini che, appunto,
il
primo giorno
della settimana e/o l’ottavo
giorno,
celebra la memoria del suo Signore Crocifisso e Risorto.
Alle
due scene, nel brano si aggiunge una conclusione:“…Ma
questi (i segni) sono stati scritti perché crediate che Gesù è il
Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel
suo nome”.
(Vi è poi un altro capitolo,
il 21° nel vangelo di Giovanni, ma si tratta di un'evidente aggiunta
ecclesiale assai significativa).
Cosa
significa avere la vita nel suo nome? Il nome è la sua realtà.
Rende presente efficacemente il mistero della persona. Avere
vita nel nome di Gesù, significa fare della nostra vita la
manifestazione della risurrezione di Gesù.
Nella
seconda lettura, è detto che il
Padre del Signore nostro Gesù Cristo ci generò per una speranza
viva in forza della risurrezione.
In altre parole, la vicenda di Gesù è generativa in noi di
espressioni di vita nuova.
Un esempio di manifestazione della
risurrezione, per quanto possa considerarsi un po' idealizzato, lo
troviamo nella prima lettura, nel libro di Atti: “Tutti
i credenti stavano riuniti insieme e avevano tutto in comune, le loro
proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano parte a tutti,
secondo il bisogno di ciascuno... spezzavano il pane e prendevano
cibo con gioia”.
La novità di vita consiste nell'essere, non più isolati dagli altri
e rivolti solo a se stessi, ma con gli altri mai contro sempre
rivolti verso gli altri e solidali, cioè parte vitale dell'insieme.
Questo in buona sostanza significa avere
vita nel nome di Gesù.
Nel
racconto evangelico, i discepoli abitano la stanza della paura.
Chiusi, bloccati, non possono vivere.
In
ogni
compagine e
in ogni Chiesa gestita e supercontrollata dal timore di uscire dalle
righe, non c'è vita, non c'è gioia, non c'è respiro! Manca la VITA
NEL NOME DI GESU'.
Giovanni
rende questo clima con alcune espressioni: caduta
la notte e le porte chiuse
(sprangate). Si
tratta di una situazione a vicolo cieco, disperata, senza via
d’uscita.
Gesù,
manifestandosi, non rinfaccia, non redarguisce per la loro pavidità
ma, rendendosi
presente,
tanto a dire: entrando
dentro, attraversando le paure, svela l’inconsistenza delle
chiusure. Dal
di dentro cioè smuove quelle esistenze paralizzate perché vi entra
con quell'amorevolezza inesauribile, e segni delle mani, dei piedi e
del costato stanno lì a testimoniarlo, di colui che prima di morire
si piegò a lavare i piedi. Grazie
a quell'amore certo, la comunità delle discepole e dei discepoli può
lanciarsi e sbilanciarsi fino ad osare la profezia del primo
giorno dopo il sabato.
Ecco
perché il saluto di Gesù si realizza nel dono
della pace-shalom
come un
restare in piedi nella vita, senza timori, come la possibilità di
realizzare le promesse di bene di cui ogni essere è portatore.
Il
dono diventa poi un incarico: Vi
do lo shalom, rimettete i peccati.
Vale
a dire, riportate
le
situazioni umane in un orizzonte di giustizia e di verità.
Il
parallelismo antitetico “a
coloro a cui, perdonerete i peccati saranno perdonati; e a coloro a
cui non perdonerete, non saranno perdonati”,
non autorizza i discepoli ad un perdono del tutto arbitrario, come se
fosse loro dato un potere di fare il bello e il cattivo tempo. È
invece un'affermazione che obbliga i discepoli (si noti: i discepoli
in quanto tali, quindi tutti, non solo gli apostoli!) ad un'azione di
liberazione riconciliazione assolute.
Se
non lo facessero avrebbero la responsabilità di lasciar languire la
realtà nelle sue contraddizioni. Questo è il senso ultimo delle
parole “e
a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
Occorre
prendere parte al progetto di una nuova creazione sulla quale ormai
il Signore ha già effuso il suo Soffio vitale.
Questo
è “avere la vita”.
L’altra
sequenza, come abbiamo detto, riguarda la vicenda
di Tommaso.
È un quadretto che sostanzialmente ci offre delle considerazioni
circa l’esperienza della fede.
Alla fede che rompe con i
“mondi chiusi e apre le stanze delle paure per dare aria” si
perviene attraverso un cammino da cui non è esente il dubbio e la
perplessità (Tommaso è presentato come il “gemello”, lui è
come noi, noi siamo come lui). Quando egli perviene alla fede, non è
perché il suo bisogno probatorio ha raggiunto gli elementi
sufficienti, ma perché anche lui si trova di fronte a quei segni che
lo riportano a quell'amore incondizionato e inesauribile di cui ha
intuito lo spessore la sera della lavanda dei piedi. Se si fosse
trattato di soddisfare al desiderio di avere delle prove, sarebbe
bastato constatarne la presenza, invece, è invitato a toccare
(entrare in contatto) con i segni di quell'amore, vale a dire: a
collocarsi nella prospettiva del dono di sé. La fede non nasce dalle
prove ma dall'amore.
Infine, è assieme agli altri che si giunge a superare le strettoie
del dubbio e si perviene alla commovente adesione fiduciosa. Lo
sguardo fisso sui segni dell’amore fedele (guarda…
tendi la mano)
consente di rimanere uniti agli altri nonostante tutto. Possiamo
rimanere con le nostre paure, fatiche immaturità ecc. perché, in
ogni caso, l’amore fedele non abbandona nessuno.
Mentre
stiamo vivendo la situazione difficile dell'isolamento per uscire
dalla pandemia del Coronavirus, non dimentichiamo chi nel mondo vive
questo e altri drammi. La preghiera ci renda sensibili e attenti
all'umanità tribolata.
È stato ritrovato
giovedì pomeriggio in acque maltesi il barcone dei 55 dispersi:
12 i morti.
Rispetto alla Cina e
ai paesi europei, il Sars-CoV-2 è arrivato più tardi in
Africa, ma il ritmo della sua diffusione sta aumentando
rapidamente.
Una seconda invasione
di locuste devasta l’Africa orientale.
Dopo la riconquista,
da parte delle forze del governo di unità nazionale di
Al-Serraj, delle città costiere di Sorman e Sabratha, strappate
ieri al controllo delle milizie del generale Haftar, decine di
missili hanno colpito martedì mattina la capitale libica.
L'allarme di
Bankitalia: la criminalità in cerca di affari, sfruttando il
coronavirus. "Nuove occasioni" per le mafie per
"svolgere attività usurarie e per rilevare o infiltrare
imprese in crisi".
La preghiera ci renda pure
sensibili e attenti a cogliere e favorire i segni di speranza
Il
pagamento debito dei paesi più poveri, la gran parte di quali
sono africani, è sospeso per un anno.
L'Algeria
dona 304mila paia guanti sterili all’Italia in solidarietà
con il popolo italiano nella lotta contro il coronavirus.
Il
Papa prega per gli operatori sanitari che assistono i disabili
colpiti dal Covid-19.
Nonostante
la grave situazione di emergenza sanitaria, la Mensa dei Poveri
“Padre Alberto Beretta”, non si ferma e continua
costantemente a dare una mano a tutte quelle persone che
altrimenti non riuscirebbero a fare neanche un pasto al giorno.
Greenpeace
chiede all’Unione Europea di mettere fine al commercio
mondiale di specie selvatiche per tutelare gli ecosistemi, la
biodiversità e la salute pubblica, considerato il rischio
concreto del moltiplicarsi della diffusione di patologie come il
Covid-19.