L'utopia pasquale e la distopia mondiale - Francesco Comina - Monastero del Bene Comune

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sabato 19 aprile 2025

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L'utopia pasquale e la distopia mondiale - Francesco Comina

 


notte

L'utopia pasquale e la distopia mondiale

l’offesa del mondo è stata immane

infinitamente più grande è stato il tuo amore


A Pasqua dovremmo cantare. Annunciare al mondo che l’uomo più giusto è risorto. Ma il mondo, oggi, sembra indicare un'altra strada, che vede guerra e povertà al centro.

A Pasqua dovremmo cantare. Annunciare al mondo che l’uomo più giusto è risorto. Dovremmo correre per le strade, la notte, con la lanterna in mano, a dire: “State sereni, perché il sepolcro è vuoto! Il Signore ha vinto la morte, le donne hanno visto e hanno sentito il vento scompigliarle i capelli. Cercatelo ovunque, perché il Signore è fra noi e fra poco due discepoli lo vedranno e lo interrogheranno a Emmaus senza nemmeno riconoscerlo!”. Dovremmo cantare al mondo che la vita è più forte della morte e la pace più tenace di ogni orrida guerra. Perché l’uomo giusto predicava la nonviolenza, predicava l’amore. Quando la violenza gli venne incontro con la furia dell’esercito, fu lui stesso a fermare la mano di Pietro che aveva provato a difenderlo: “Rimetti la spada nel fodero!”. Solo il corpo inerte può resistere all’offesa del male.

E su quel corpo crocifisso e violentato il potere s’accanì fino all’ultimo con spergiuri e offese, sputi e torture. Finché nel cielo esplose il grido rassegnato: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. E dall’alto non scese nemmeno una parola. Perché la forza di Dio non sta nel miracolo, non sta nella logica del potere, nella contrapposizione delle forze le une contro le altre armate. Sta nella presenza-assenza, come ci ricorda Simone Weil commentando lo sconvolgimento del Golgota: “L’abbandono (del Cristo ndr), nel momento supremo della crocifissione, quale abisso d’amore fra le due parti”. Il Venerdì Santo è la rottura totale della definizione comune di onnipotenza con la quale abbiamo inteso uno degli attributi di Dio. La morte di Cristo è la rivelazione dell’impotenza divina che si radica nella onnipotenza nonviolenta dell’amore (è la gloria della pace fra le due parti, ossia il Cristo sofferente che si abbandona sulla croce dopo un urlo indignato e il Dio inerme che si piega verso il Cristo morente in una presenza-assenza d’amore). Per cui se pensiamo all’onnipotenza di Dio secondo categorie umane, siamo fuori strada e non capiamo il senso del messaggio cristiano per la storia di oggi che ferve di altre attese. In questo senso il cristianesimo rivela la sua natura rivoluzionaria. Pensiamo al cuore dell’insegnamento “politico” di Gesù, il Discorso della Montagna, che venne definito da Gandhi come uno dei testi di riferimento (forse il più significativo) del suo agire nonviolento. Gesù, in quel Sermone, predica delle cose impossibili e impensabili nella logica del realismo politico: “Beati gli afflitti perché saranno consolati, beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che avranno fame e sete di giustizia perché saranno saziati, beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio… Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male per causa mia…”.

Dove vediamo oggi che i miti erediteranno la terra?: Essi sono cacciati dalle terre in tutto il mondo, anzi, essi vengono sfollati con la forza, con i missili, con le bombe,

Ma non è questa l’indicazione di un mondo rovesciato? Dove vediamo oggi che i miti erediteranno la terra? Essi sono cacciati dalle terre in tutto il mondo, anzi, essi vengono sfollati con la forza, con i missili, con le bombe, vengono annichiliti, deportati, cacciati, rifiutati, umiliati, vengono fatti sfilare in catene o chiusi in centri di detenzione. Dove vediamo che gli afflitti vengono consolati? Chi accarezza le madri che piangono i loro figli massacrati dalle bombe che sventrano palazzi sui vari fronti di guerra aperti sul mondo? Chi stende una coperta calda sui corpi infreddoliti dei migranti che cercano disperatamente un luogo dove poter vivere e sperare ancora in un riscatto possibile da ingiustizie, soprusi e guerre? A chi importa del destino dei bimbi schiavi che si ammazzano di lavoro e di malattie nei cunicoli delle miniere per estrarre i minerali che servono per i nostri prodotti tecnologici? Quali governi oggi saziano gli affamati e danno da bere agli assetati quando infuriano crisi alimentari ed epidemie in tante parti della terra e si accanisce la lotta per l’accaparramento dei beni essenziali? E dove sono gli operatori di pace in un tempo che premia gli operatori di guerra e i costruttori di armi? Dove si nasconde la diplomazia politica in questa Europa che non fa altro che indebitarsi per armarsi e che predice ogni giorno l’insorgere di una possibile guerra su vasta scala?

Eppure dovremmo cantare la resurrezione del Signore. Farne poesia. Perché in essa c’è il seme di un altro mondo possibile. Utopico sì. Ma siamo arrivati a un punto storico che l’utopia rappresenta il varco più vero al realismo politico. Perché la faglia atomica che ci minaccia continuamente o verrà superata da una resurrezione culturale, politica e spirituale secondo il Sermone della Montagna di Gesù, o sarà la vittoria della distopia bellica totale, come già aveva preannunciato Einstein dopo l’esperienza di Hiroshima e Nagasaki. Le domande si infittiscono. Ma noi oggi possiamo cantare solo attraverso i versi sommessi di un poeta dal tratto mite come Andrea Zanzotto e la sua Elegia pasquale:

Pasqua ventosa che Sali ai crocifissi

con tutto il tuo pallore disperato

dov’è il crudo preludio di sole?

E la rosa la vaga profezia?

Dagli orti di marmo

ecco l’agnello flagellato

a bruciare scarsa primavera

e illumina mali dei morti

pasqua ventosa che i mali fa più acuti…


O con i versi “divini” del grande Turoldo, che aveva cucita nel cuore la speranza cristiana:

l’offesa del mondo è stata immane

infinitamente più grande è stato il tuo amore


Francesco Comina

19.04.2025


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