Entriamo con questa domenica nella Settimana Santa o Settimana di Passione. In questa domenica ascolteremo il racconto della passione secondo l’evangelista Luca 22,14-23,56, mentre il Venerdì Santo ascolteremo il racconto che ne fa l’evangelista Giovanni 18,1- 19,42.
Gesù, nel portare a compimento il suo cammino, si è ispirato ad una figura iconica che troviamo nella tradizione profetica di Isaia. Si tratta del Servo Sofferente di Jhwh. Se ne parla in quattro carmi che accompagneranno la preghiera della Chiesa in questa settimana:
Is. 42,1 - 7
Is. 49,1 - 6
Is. 52,13 – 53,12.
Nella liturgia di questa domenica della Palme, il terzo “Canto del Servo” costituisce la prima lettura. La nostra meditazione si concentra su di esso perché ci fornirà le chiavi interpretative del lungo racconto della Passione del Signore.
Is. 50,4 – 9
Il Signore Jhwh mi ha dato la lingua degli iniziati per saper sostenere lo spossato con una parola.
Egli desta ogni mattino, mi desta l’udito per ascoltare come gli iniziati.
Il Signore Jhwh mi ha aperto l’udito,
e io non sono stato recalcitrante, non sono indietreggiato.
Ho offerto il dorso a coloro che i colpivano, la guancia a coloro che [mi] strappavano la barba.
Non ho sottratto il volto agli oltraggi e agli sputi.
Ma il Signore Jhwh mi aiutava, e così non ho fatto l’offeso;
così ho reso il mio volto duro come selce, sapendo che non sarei arrossito.
Il mio giustiziere è vicino: chi discute con me? Affrontiamoci insieme!
Chi è il mio avversario? Che avanzi contro di me! Ecco, il Signore Jhwh mi aiuterà: chi mi incolperà?
Fin dalle prime battute si comprende che il servizio del Servo avviene tramite la Parola. Una parola però che ha una funzione di efficacia terapeutica. Essa infatti viene rivolta a chi si trova nella sfiducia perché ha in sé la prerogativa di sollevare dalla depressione.
A volte non consideriamo la potenza delle nostre stesse parole: parole che attraversano la psiche, parole dure come pietre, parole che feriscono e parole che guariscono. Quanto trascuriamo la cosiddetta “buona parola”! eppure essa ha il potere di orientare in senso positivo le azioni di una giornata.
Nella Scrittura, nei salmi, nella liturgia ovunque ci sono “Buone Parole “che ci sollevano. Ad esempio, la liturgia delle ore si apre sempre con l’invocazione “Dio, vieni a salvarmi – Signore, vieni presto in mio aiuto” sono le semplici parole che aprono all’orante le porte di un Rifugio Superiore in cui ci sentiamo custoditi.
Le parole, e soprattutto, la Parola è come una carezza che ci dice quanto siamo amati, stimati, oggetto di sollecitudine, di una tenerezza che ci avvolge. Naturalmente per tutti noi il pericolo è sempre quello dell’abitudinarietà, del dare per scontato, in definitiva, dell’insensibilità.
Il Servo chiamato per la “Parola” destinata a sostenere lo sfiduciato, è però uno che prima esercita l’ascolto. Il suo servizio ha come presupposto la capacità di ascolto. Un ascolto sempre nuovo: “Ogni mattina fa attento il mio orecchio”.
Risulta evidente dal testo che non solo ciò che ascolta, ma anche la stessa capacità di ascoltare è un dono che riceve dal Signore. Anzi, il Signore compie, per così dire, un’azione-intervento negli orecchi del Servo.
Di che qualità d’ascolto si tratta? Di un ascolto obbediente, ossia coinvolgente fino al punto da implicare una scelta di non resistenza e di non tirarsi indietro. Il vero senso dell’obbedienza lo troviamo infatti in un ascolto attento, non nella mera esecuzione di ordini. La stessa radice della parola obbedire deriva da un verbo di ascolto “ob-audire”, cioè ascoltare di fronte, ascoltare con attenzione.
Il Servo ascolta con disponibilità Dio che si manifesta negli eventi del suo tempo e del suo popolo, egli, in altre parole, ascolta Dio nei fatti. Ed è appunto su questi fatti- eventi che interviene per essere luce e trarre fuori dalle tenebre. Ma per questo suo servizio deve pagare dei costi molto alti: egli non incontra solo delle difficoltà ma addirittura persecuzioni vere e proprie – “Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”.
D’ora in poi, il tema della sofferenza, collegato al ministero del Servo, è sempre più evidente. Si fa strada cioè un aspetto del mettersi a disposizione del piano del Signore che non percorre più, come nel caso del Servo Re (per es. Davide), le vie del successo ma piuttosto quelle della sofferenza e del fallimento. È un momento in cui la riflessione d’Israele passa sulle lame del rasoio ed affronta la messa in crisi della tradizionale teologia retributiva che vedeva nel successo il segno evidente del favore divino e nell’insuccesso, il segno opposto.
No! Con l’esperienza del Servo le cose non vengono più viste in questa maniera perché s’intuisce che Dio ha bisogno di collaboratori che per amore sanno anche soffrire.
Non si tratta evidentemente di crogiolarsi nel dolorismo della sofferenza fine a se stessa, come se Dio fosse appagato dal dolore. Certo però che il dolore è spesso il costo elevato da pagare per essere fedeli a se stessi e al piano di Dio nella lotta contro ciò che rende disumano l’essere umano. Varrebbe la pena interrogarci seriamente sulla nostra capacità di sostenere la sofferenza per contrastare l’ingiustizia, sulla disponibilità a perdere i nostri vantaggi personali.
Bonoeffer diceva che è una grazia soffrire con e per Gesù Cristo a causa di un mondo che non è secondo Cristo. Il Signore ha bisogno di Servi e Serve che gli dichiarino la loro disponibilità per la vita.
Dichiarata la disponibilità, il Servo riposa nella fiducia: “Il Signore mi assiste, per questo non resterò confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra sapendo di non restare deluso”. Quando le scelte di vita si appoggiano sulla Parola, la nostra debolezza si trasforma in forza, la forza di chi è libero e non ha più nulla da perdere. I potenti, di fronte a questa energia del Servo, di ogni Servo, tremano.
Gesù a Pietro gli diceva la stessa cosa: “…Simone figlio di Giona…tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte della morte non prevarranno contro di essa” (Mt. 16, 17-18). Come dire: Tu sei polvere (Simone figlio di Giona) ma io che sono la Parola ti faccio Roccia – Pietra (per questo rendo la mia faccia dura come pietra) e i potentati mondani tremeranno.
La fiducia nell’efficacia della Parola è tale da conferire una maestosa dignità che mette in crisi tutte le logiche del successo e delle apparenze sfornate dal potere: i super miliardari di questi tempi, con tutte le loro ricchezze ed il codazzo di lecchini giornalisti, intellettuali e vip, di fronte a Charles de Foucauld, don Milani, Tonino Bello, il papa Francesco, Francesco d’Assisi, Oscar Romero, Bonoeffer ecc. sono dei vermi che valgono meno di uno sputo.
Ad ogni buon conto, la via della sofferenza per la causa di Dio, cioè per la causa umana che sta cuore a Dio, è talmente sorprendente anche per la stessa religione che, in un certo senso, l’autore stesso avverte la necessità di aprire una contesa giudiziaria: “Chi mi accusa? Si avvicini”. Cioè, qual è il modo giusto di stare al mondo: quello dei potenti o quello del Servo? In questo dibattimento processuale, Dio fa da avvocato difensore del Servo: “Ecco, il Signore mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?”. La risposta però a questo interrogativo verrà data nel quarto Canto.
Abbiamo comunque, in questo terzo Canto del Servo, delle luci per ascoltare, comprendere e contemplare il racconto della Passione.
Dal salmo 21
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele.